Verrebbe da dire: narrare l’autunno, se non fosse per il verde che, nonostante la lana grigia, scoperchia il paesaggio.
La mamma mi chiedeva stamattina se non mi piace ascoltare la pioggia nel dormiveglia, no, mi mette tristezza, rimpianto di luce.
Cerco di trovare un senso a questo groviglio di eventi, impegni, contabilità edilizie indigeste, leggendo “Ogni giorno”. di Olav Hauge:
Le grandi tempeste
le hai alle tue spalle.
Non domandavi un tempo
perché esistevi,
da dove venivi o dove stessi andando,
eri soltanto nella tempesta,
eri nel fuoco.
Ma si può anche vivere
nella vita d’ogni giorno,
il grigio calmo giorno,
piantare patate, rastrellare foglie
e raccogliere rametti,
ci sono tante cose a cui pensare al mondo,
a tutto non basta la vita di un uomo.
Dopo il lavoro puoi arrostire il maiale
e leggere poesie cinesi.
Il vecchio Laerte tagliava i rovi
e rincalzava il fico,
e lasciava gli eroi combattere a Troia.
… e mi sforzo di trovare vita in questi fogli cifrati, nella noia della biancheria che si sporca, si lava, si piega, si sporca di nuovo, nell’insalata da mondare, nella teiera che aggiunge profumo e calore alle filigrane notturne.
“La vera formula dell’attendere è forse questa: non prevedere niente, se non l’imprevedibile. Non aspettare niente, se non l’inatteso.” Christian Bobin
Ecco, l’inatteso, mentre le mani di Sofia dialogano con la tastiera, questo alternarsi di note in preparazione del concerto di domani, l’imprevedibile, che quando arriva spesso spaventa, perchè spodesta il calendario di pedine e porta con sè anche “il grigio calmo giorno” .
“Forse devi fidarti anche delle zone inesplorate del tuo cuore, del tuo animo, quelle che seppellisci dietro infiniti ragionamenti e pensieri. Forse finora hai vissuto usando solo il tuo emisfero sinistro, la razionalità, la testa, il calcolo, ma hai constatato che le reti non si sono riempite. Forse devi cambiare registro, dalla filosofia passare alla poesia, dal ragionamento alla “follesofia”, cioè a quella sapienza un po’ folle che penetra il nocciolo della realtà con la sensibilità e l’intuizione, la bellezza e la creatività.”
Luca Buccheri fa presto a dire di usare l’altro emisfero! Nonostante la predilezione o il desiderio di questa “follesofia” gli emisferi si contaminano, come quelle ampolle di olio e aceto che assomigliano ad alambicchi e mediano già la miscela. Quei ragionamenti capricciosi che si insinuano come folletti nelle ore di veglia e fanno sì che il “mio passo di marcia assomigli a quello dei militari russi”, come dice Enrico – il collega creativo della scrivania a destra, ecco ancora di emisfero destro si tratta
Ecco, non partiamo da zero, abbiamo “spalle” possenti su cui posizionarci per aggiungere miglia allo sguardo interiore, per scalfire la quotidianità fatta di tanti emisferi sinistri, che marciano impettiti, da scombinare più che con follesofia con femminosofia, sulla quale Marisa invitava ad inventarsi e scrivere in una sera d’inverno ed ecco i miei pensieri di allora:
Femminosofia: un modo intimo di guardare il mondo, l’altro. Un attraversare campi arati di fresco senza timore di sporcarsi; la tessitura forte e nello stesso tempo morbida, che sostiene il respiro quotidiano.
Femminosofia: le nuvole a colazione, l’iniziare con passi che sanno di cielo, l’affrontare la guerriglia con àncore di umanità.
Le emozioni a pranzo, il mettere nel desco quotidiano la volubilità del cuore, condire le pietanze con le risate della leggerezza.
Le storie a cena, il sapersi parte di una storia, inventare una propria storia, essere storia per chi verrà.
Femminosofia: curare con la vita; essere grembo fecondo di gesti, pensieri, parole; ricucire diaspore, disegnare paesaggi sensibili e colti.
Esagerato? Utopistico? Macchè, estremamente femminile .